Le vipere (Vipera Laurenti, 1768) sono gli unici serpenti italiani con un veleno di rilevanza medica. Appartengono alla famiglia Viperidae e sono distribuite praticamente su tutto il nostro territorio esclusa la Sardegna
Esse sono spesso oggetto di errate credenze e per questo abbiamo deciso di fare un po’ di chiarezza attraverso il mezzo più semplice: la conoscenza. Questo grazie al supporto scientifico del prof. Matteo Di Nicola esperto di erpetofauna e fotografo naturalista.
Prima di parlare della pericolosità delle vipere è importante conoscere la loro distribuzione sul territorio italiano, il loro habitat e la stagionalità, ossia quando è più frequente l’incontro con l’uomo prof. Di Nicola potrebbe darci indicazioni precise in merito?
“In Italia, in base agli ultimi aggiornamenti sistematici, sono presenti 23 specie di serpenti, di cui cinque appartenenti al genere Vipera (le distribuzioni nazionali approssimative sono visibili nelle mappe dell’apposito collage)”.
- la vipera comune, Vipera aspis, con tre sottospecie (V. aspis aspis, V. aspis francisciredi, V. aspis hugyi), rinvenibile in un range altitudinale compreso tra 0 e 2.800 m s.l.m.;
- la vipera dal corno (Vipera ammodytes), rinvenibile in un range altitudinale compreso tra 20 e 1.700 m s.l.m.;
- il marasso (Vipera berus), rinvenibile in un range altitudinale compreso tra 600 e 2.950 m s.l.m.;
- la Vipera dei Walser (Vipera walser), rinvenibile in un range altitudinale compreso tra 1.300 e 2.400 m s.l.m.;
- la Vipera di Orsini (Vipera ursinii), rinvenibile in un range altitudinale compreso tra 1.350 e 2.300 m s.l.m..
“A seconda della specie e della località geografica, le vipere frequentano diversi tipi di ambienti, da quelli planiziali a quelli montani, seppur accomunati da un sufficiente livello di “integrità” ambientale.
Pur essendo rinvenibili anche nei pressi di habitat antropici, le nostre vipere in genere non prediligono aree fortemente antropizzate o alterate. L’alterazione ambientale è infatti tra le principali cause di rarefazione di questi animali, di fatto non comuni da incontrare (o comunque molto meno di quanto spesso si tema)”.
Cosa bisogna fare e non fare quando le incontriamo e, nel caso di morso accidentale?
“Premetto che quanto scrivo è riferito esclusivamente al territorio nazionale. Le specie italiane di Vipera sono accomunate dall’avere dimensioni contenute. Mediamente, le lunghezze totali vanno dai 50 ai 70 cm, senza mai superare il metro. Esse hanno un comportamento schivo ed elusivo: se si sentono minacciate, potendo, optano per la fuga, altrimenti provano a difendersi anche mordendo (giustamente, mi viene da aggiungere).
In caso di incontro, è fondamentale non farsi sopraffare da pensieri irrazionali, ricordando di avere davanti un animale timido e di dimensioni ridotte. La vipera NON balzerà in avanti di metri né salterà addosso (non avrebbe nemmeno le caratteristiche fisiche per farlo!).
È sufficiente rimanere a distanza di qualche metro per non correre pericoli, magari approfittando per scattare una bella foto ad un animale sempre più rarefatto e difficile da incontrare (postando, perché no, la foto nell’apposito gruppo Facebook di riconoscimento anfibi e rettili per riceve un’identificazione affidabile della specie).
Non bisogna provare a spostare il serpente, neanche con bastoni (che potrebbero ferirlo o comunque infastidirlo, generando un potenziale pericolo) o ad avvicinare le braccia a pochi centimetri dall’animale.
Se si gira con cani al seguito e si percorrono sentieri in cui è possibile l’incontro è bene tenerli al guinzaglio (in molte aree è anche obbligatorio, viste le concrete possibilità di disturbo che gli animali domestici possono arrecare alla fauna selvatica).
In sfortunato e remoto (ma certamente non impossibile) caso di morso, le procedure da adottare sono indicativamente le seguenti:
Rilassarsi per non farsi sopraffare dall’ansia, provvedendo subito a chiamare i soccorsi, per poi aspettarli in loco limitando i movimenti (se logisticamente possibile), altrimenti camminare adagio verso una zona raggiungibile dalla rete telefonica o dai mezzi di soccorso.
Questo, per non aumentare ulteriormente il battito cardiaco, nella consapevolezza che il veleno delle nostre vipere in un soggetto sano adulto non è considerato mortale e che si hanno diverse ore per l’eventuale trattamento clinico prima che possano essere compromesse alcune funzionalità (bisogna dire che esistono casi di complicazioni gravi e anche di morte del paziente, ma il più delle volte si è trattato di soggetti non in perfette condizioni di salute).
Togliere anelli, bracciali, slacciarsi i polsini, non utilizzare bendaggi stretti (alcuni sanitari, se è stato colpito un arto, consigliano il bendaggio linfostatico, ma è necessario saperlo eseguire correttamente, altrimenti lasciare perdere). Non praticare incisioni, suzioni, non utilizzare prodotti chimici.
Il siero “antivipera” da anni è stato bandito dal commercio per uso privato, in quanto deve essere conservato in ambiente correttamente refrigerato e deve essere utilizzato solo da personale medico (previo consulto del Centro Antiveleni di riferimento).
È stato infatti accertato che lo stesso può essere causa di shock e conseguenze gravi nel paziente.
Anche altri farmaci, come cortisonici e antibiotici, non sono da usare prima dell’intervento medico, nel quale viene valutata la situazione da caso a caso.
Esiste in commercio, di libera vendita, un piccolo dispositivo portatile chiamato ”Ecosave” o “Ecobite”: esso genera una leggera scarica elettrica (a basso amperaggio ma a voltaggio relativamente elevato).
Applicato con movimento rotatorio, ripetutamente, attorno alla parte colpita, potrebbe contrastare l’attività di alcuni enzimi presenti nel veleno. Questo strumento NON deve essere considerato un sostituto delle procedure prima indicate bensì un aiuto aggiuntivo che potrebbe, importante l’uso del condizionale, limitare le conseguenze dell’avvelenamento”
Prof. Di Nicola qual è la pericolosità in relazione alle specie delle foto?
“Una domanda che viene spesso posta riguarda quale sia la specie di vipera più velenosa. In molti si cimentano nel rispondere con “Vipera ammodytes” o “Vipera berus”. La risposta in realtà, per non cadere in errore, dovrebbe essere: “dipende”.
Premesso che non sono note differenze così evidenti negli effetti dell’avvelenamento tra le diverse specie nazionali (escludendo Vipera ursinii, per la quale è nota la minore tossicità), la composizione e la quantità del veleno inoculato dipendono da molteplici fattori, variando non solo tra specie ma anche tra popolazioni e addirittura tra individui.
Ad esempio in base all’età, alla stagionalità, alle condizioni fisiologiche, ambientali o all’habitat.
Inoltre, le reazioni all’avvelenamento variano (e di molto) anche da persona a persona in base, ancora, a numerosissimi fattori. In generale si può ripetere quanto affermato in precedenza, cioè che il morso delle vipere presenti in Italia non è di norma considerato mortale se il soggetto colpito è adulto e in buona salute”
Una curiosità è legata alle leggende e ai falsi miti, è vero che i piccoli nascono sugli alberi e possono mordere sul collo?
“I miti e le leggende che affliggono i serpenti e in particolare le vipere sono molteplici. Un fatto curioso è che risultano radicati in territori molto vasti (anche all’estero). Questo, a prova dell’enorme e diffusa non-conoscenza di questo affascinante gruppo animale. Ne elenco di seguito alcuni, seguiti da un breve commento:
“Le vipere si aggirano nei pascoli alpini per bere il latte dalle mammelle di capre e mucche; se entra una vipera in cantina e la si vuole catturare bisogna usare il latte come esca”:
le nostre vipere colonizzano una grande varietà di ambienti, comprese praterie e pascoli alpini, dove la mancanza di copertura arborea agevola l’esposizione solare per la termoregolazione (sono animali ectotermi, obbligati a regolare la temperatura corporea tramite quella ambientale). Possono quindi trovarsi in aree battute da bovini e ovini ma non per bere il loro latte!
Le vipere si nutrono esclusivamente di piccoli animali, quali roditori, anfibi, rettili, uccelli o anche invertebrati, che cacciano attivamente. Per lo stesso motivo l’esca a base di latte sarebbe del tutto inutile (al limite, se un serpente fosse fortemente disidratato potrebbe andare a bere, ma lo farebbe anche e sopratttutto con semplice acqua!)
“Se una vipera si abbevera in un ruscello ne avvelena l’acqua”:
Utilizzato per paralizzare o uccidere le prede (coadiuvandone anche la digestione) ed eventualmente per difesa, il veleno è una miscela complessa di sostanze che richiede un notevole dispendio energetico per essere prodotto. Considerato che la “fuoriuscita” del veleno è finemente controllata e che le quantità in gioco sono nell’ordine di pochi milligrammi. Quale vantaggio avrebbe l’animale a disperdere veleno in acqua ed inoltre, che quantità servirebbero per avvelenarne l’acqua di un corso?
“Le vipere partoriscono sugli alberi in modo che i piccoli cadano al suolo senza mordere fatalmente la madre”
Le vipere italiane sono vivipare: la madre partorisce piccoli già formati e con apparato velenifero già funzionante, dato che dovranno da subito autosostentarsi (predare e eventualmente difendersi…).
Sebbene sia possibile scorgere individui tra i rami della vegetazione bassa per motivi di termoregolazione o predazione di nidiacei, l’”arrampicarsi” sugli alberi non è certo una peculiarità delle vipere. La loro vita si svolge prettamente al suolo. Così come i parti, e i piccoli non hanno certo l’istinto di mordere la madre senza motivo. Come prima spiegato, il veleno ha precise funzioni tra cui non compare quella di offendere casualmente.
“Le vipere nere sono le più velenose”
l’eccesso di pigmentazione scura nella pelle è un fenomeno ricorrente in alcuni individui (definiti melanici o melanotici) e una delle ipotesi avanzate nel vantaggio di questa condizione è una migliore termoregolazione negli ambienti freddi. Non sono invece note differenze nel veleno rispetto agli individui con colorazioni classiche.
“Le vipere vengono lanciate nei boschi dagli elicotteri dei guardaparco al fine di ripopolamento”
Se le altre leggende variano molto da luogo a luogo, quella degli elicotteri è invece citata da tutti. Pochi sono gli angoli dove non sia conosciuto il misterioso fenomeno e non manca chi è talmente suggestionato da affermare di aver assistito con i propri occhi.
Ipotizzando (per assurdo) che esistano ripopolamenti di vipere in una data zona, fatico a comprendere perché dovrebbero avvenire usando un elicottero. Si tratta di un mezzo estremamente costoso, cadendo dal quale gli animali si ferirebbero al suolo o comunque, in caso di discesa lenta mediante ingegnose casse paracadutate (in molti ne testimoniano il ritrovamento) non ci sarebbe la benché minima precisione di posizionamento. Non sarebbe meglio un’azione da terra? Tenendo poi conto che in ogni angolo d’Italia si afferma la presenza di rilasci dai velivoli, il dispendio economico sarebbe superiore a qualsiasi altra attività mai svolta in ambito zoologico! Un po’ esagerato, no? Ironia a parte, allevare vipere è un’operazione che richiederebbe tempo e denaro. Inoltre i ripopolamenti di animali non sono sempre facili da realizzare per problematiche sia economiche che ecologiche”
Concluderei con qualcosa di rassicurante per non creare “cacciatori di vipere”
“Per concludere, togliendo spazio alle suggestioni e ai “sentito dire” per lasciarne a dati riferibili a fatti concreti, gli incontri con le vipere in Italia non sono un evento così comune (molto spesso, chi è convinto di aver trovato una vipera ha davanti un colubride non velenoso e a tal proposito suggerisco la lettura della didascalia presente nel seguente post di Facebook e, quando avvengono realmente, basta comportarsi in modo responsabile rimanendo alla giusta distanza.
Interpellando i centri ospedalieri di tutta Italia, si scopre come i casi di morso di vipera siano davvero rari e spesso statisticamente trascurabili. Le morti a seguito di avvelenamento da vipera in Italia sono estremamente ridotte. Ad esempio, nell’anno passato ricordo un solo caso documentato, per un’anziana signora con quadro clinico già compromesso. Mentre altri fattori più comuni ma poco o per nulla temuti (come cadute accidentali, punture di imenotteri, incidenti con cani o con animali da allevamento ecc…) sono causa di un numero di vittime ben più elevato”.
Il prof. Matteo di Nicola è nato a Milano nel 1986. Ha una laurea in Scienze Naturali e una specializzazione in Comunicazione e Didattica delle Scienze Naturali presso l’Università Statale di Milano.
È appassionato di fauna selvatica e in particolare di erpetofauna fin dall’adolescenza. Ha presto iniziato a cercare e fotografare rettili e altri animali autoctoni per approfondirne le conoscenze in modo diretto. Durante gli studi universitari ha iniziato ad occuparsi di educazione ambientale e corsi di fotografia naturalistica. Da diversi anni effettua osservazioni ecologiche e censimenti di erpetofauna sul territorio nazionale. Dal 2013 insegnante nella scuola secondaria. Questa professione gli permette di coniugare la passione per la didattica con la disponibilità di tempo per occuparsi anche di attività in ambito erpetologico.
Autore e co-autore di articoli divulgativi e pubblicazioni scientifiche; primo autore della guida erpetologica “Anfibi e rettili d’Italia” (in stampa); coautore della guida erpetologica “Anfibi e rettili di Sardegna” (2018); coautore dei libri fotografici “Sardegna, 20 Storie di Natura” (2018) e “Paludi e Squame” (2014).
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