Home Teatro Silenziosamente rivoltosa Veronica Pivetti ne “L’inferiorità mentale della donna”

Silenziosamente rivoltosa Veronica Pivetti ne “L’inferiorità mentale della donna”

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Veronica Pivetti ph Assunta Servello

Se si dovesse cercare un aggettivo per descrivere “L’inferiorità mentale della donna” di Giovanna Gra, al Teatro Quirino dal 4 al 9 marzo, la parola che immediatamente viene in mente è provocatorio. Il progetto, interpretato da Veronica Pivetti, si muove su un crinale sottile tra la riflessione storica e la satira più tagliente, accompagnata da una struttura narrativa che va ben oltre la semplice denuncia. Qui, non si assiste solo ad un atto di contestazione, ma a una vera e propria disamina del pensiero reazionario che, seppur radicato nei secoli passati, non ha mai cessato di essere un’ombra sul presente

L’idea alla base dello spettacolo affonda le radici in una domanda angosciosa: cosa ci suggerisce il fatto che le donne siano state considerate fisiologicamente inferiori per secoli? La risposta a questa domanda, però, non è lineare. “L’inferiorità mentale della donna” diventa un viaggio attraverso le bizzarre teorie scientifiche di epoche passate, riflesso di un’epoca in cui la donna veniva, letteralmente, trattata come un’entità patologica, una creatura da disaminare più sotto l’aspetto fisiologico che psicologico.

Il testo si ispira liberamente al trattato L’inferiorità mentale della donna di Paul Julius Moebius, un neurologista del 1900 che, in modo tanto ardito quanto disarmante, descrive la donna come un essere privo di ragione, un essere biologicamente inferiore all’uomo e che con il tempo e la maternità perde persino la capacità di pensare. Attraverso il filtro della storia, Moebius diventa il simbolo di un pensiero che non solo sottovalutava, ma sviliva l’intelligenza femminile.
Veronica Pivetti ne “L’inferiorità mentale della donna” al Teatro Quirino

Veronica Pivetti, nella sua interpretazione, porta questa riflessione a un livello profondamente emozionale. Con la sua presenza scenica affascinante e tormentata, si alterna tra racconti, letture e canzoni, in un gioco di luci e ombre che dilata e concentra il significato di ogni parola.

La sua interpretazione di “Sei Bellissima” di Loredana Bertè, delicata e quasi sussurrata, diventa un momento di straordinaria intensità emotiva, un gesto che spezza la quarta parete quando si rannicchia sulle scale cantando e crea un legame intimo con il pubblico. In quella sussurrata dolcezza, Pivetti riesce a evocare tutta la frustrazione di una femminilità intrappolata in una gabbia di stereotipi, ma anche la sua forza sottile, la sua resistenza. Commuove in una creazione nel decantare la femminilità della donna senza cadere in stereotipi da slogan.
Veronica Pivetti

Questo “decantare la femminilità” non è però mai forzato, né retorico. L’autrice e regista, insieme a Pivetti, riescono a fare un passo oltre la semplice denuncia. Non si tratta solo di una messa in scena di citazioni storiche e teoriche, ma di un viaggio che giunge fino ai giorni nostri, dove la violenza contro le donne, purtroppo, è ancora una realtà troppo diffusa e troppo spesso mal giustificata. Le frasi – vergognosamente reali – di difesa dei colpevoli di violenza, come “Aveva i jeans” o “L’ho toccata per 10 secondi”, risuonano come pugni allo stomaco, ancora più potenti nel silenzio sussurrato di Pivetti, che le declama con un’intensità tale da annullare ogni possibile reazione di difesa.

Il linguaggio visivo dello spettacolo, curato da Eva Bruno per le luci e Nicolao Atelier Venezia per i costumi, non fa che esaltare la potenza di questo messaggio.

I costumi ottocenteschi, tra cui il corpetto e gli stivaletti che Pivetti indossa, pongono la figura della donna in una dimensione al contempo storica e atemporale, come se la sua oppressione fosse un fardello che non ha mai smesso di essere presente. La scena in cui l’attrice, con la complicità di Anselmo Luisi, srotola un lenzuolo da una valigia mentre le sentenze di violenza vengono lette ad alta voce, è un’immagine che non si dimentica facilmente: la violenza che attraversa la storia, le scuse che la accompagnano, il silenzio che ancora la protegge.

Veronica Pivetti è, senza ombra di dubbio, l’autentica protagonista di questa riflessione. Con un equilibrio perfetto tra rabbia, dolcezza e riflessione, rende la sua interpretazione un atto di resistenza teatrale e culturale, che mette lo spettatore di fronte alla dura realtà di una discriminazione che continua a permeare ogni aspetto della vita quotidiana.

In conclusione “L’inferiorità mentale della donna” è un invito a riflettere, a vedere il passato e il presente con occhi nuovi, e a comprendere che le battaglie per l’uguaglianza e la dignità femminile sono tutt’altro che vinte.

Ricci neri, abito ottocentesco, corpetto e stivaletti, Veronica Pivetti è un elogio alla donna silenziosamente rivoltosa.