Dal 14 al 19 febbraio il Teatro Stabile di Catania, il Teatro della Toscana Teatro Nazionale, Tradizione e Turismo srl Centro di Produzione Teatrale, Teatro Sannazzaro presentano con la regia di Luca De Fusco l’ultima opera di Luigi Pirandello “Come tu mi vuoi” in scena al Teatro Quirino di Roma
La pièce è ispirata ad una celebre vicenda giudiziaria, quella del famoso caso Canella-Bruneri o dello smemorato di Collegno che occupò le cronache italiane dal 1927 al 1931, data la visibilità mediatica probabilmente ispirò l’autore nella creazione de l’Ignota, la protagonista di “Come tu mi vuoi”.
Lucia “Cia” la moglie di Bruno Pieri scomparsa da un decennio ballerina ed entreneuse in una Berlino ormai decadente scomparve dopo che la sua casa fu occupata dai tedeschi.
Una sera mentre era in compagnia di Statler (Francesco Biscione) suo amante, viene riconosciuta da un amico di famiglia l’italiano Boffi.
Sarà la possibilità di rifarsi una vita lontana dalla dissolutezza a convincerla in un primo momento, di tornare a casa ed è così, anche se fosse un’impostora? Oppure è veramente lei e sarà il desiderio di tornare che dominerà la trama della pièce?
L’Ignota è bella, atletica e sa usare il potere delle sue carni, rappresentata dal regista Luca De Fusco coi capelli neri, corvini si muove sul palco danzando senza vergogna, spudorata e decisa.
I suoi abiti anni ’30 (di Marta Crisolini Malatesta) sono anch’essi protagonisti: il primo nero setoso e impalpabile come la sua identità, poi indosserà un lungo abito bianco quasi a sottolineare un voluto contrasto tra le due personalità o le molteplici pirandelliane e, nel finale, ritrovare una semplice compostezza con una camicetta nera e una gonna lunga azzurra, ennesimo significato di una perduta identità.
La Cia, la sua Cia di Bruno il marito (Pierluigi Corallo) in famiglia non viene riconosciuta da nessuno. Lei che per mesi si è donata amante. È vero che il neo sul corpo non c’è più. È vero che lei prove non ne ha, dopo tanti anni fuori a parlare una lingua sconosciuta.
E allora avvolta nei dubbi sussurra nel bellissimo monologo al marito.
“Sono stata con te quattro mesi i miei occhi vedevano come tu mi vedevi, sono tua fammi tu come tu mi vuoi… dammi i tuoi ricordi che hai serbato di lei… io mi sono fatta quella”.
Così il dubbio s’insinua in lui e in noi, fino quando il suo ex amante tedesco Salter porta in scena una povera donna martoriata che pronuncia in una continua cantilena il nome Lena (la zia di Cia).
Allora è codesta la vera Cia? Oppure l’altra? L’Ignota vuole rimanere in quella casa piena di dubbi oppure abbandonare una rispettabilità fatiscente e tornare alla dissoluta libertà di prima?
La terza parete tra gli attori e il pubblico è un sottile velo. Su di essa, vengono proiettati (a cura di Alessandro Papa), i volti de l’Ignota nei suoi monologhi. Oppure ingigantiti i particolari degli abiti, perline ricamate, tessuti, in un gioco di luci (di Gigi Raccomandi) che accentuano la confusione nello spettatore.
Pirandello ci lascia, nel finale, pieni di dubbi sull’identità della protagonista e sulla nostra identità, come fa sempre e ancora di più in quest’opera creata in età matura.