Il 2 dicembre la compagnia del Teatro Libero di Rebibbia ha debuttato con il nuovo spettacolo al Teatro Argentina di Roma, un adattamento della “Sonata a Kreutzer” di Lev Tolstoj, il testo è curato da Fabio Cavalli in scena Francesco De Masi, Juan Dario Bonetti, Giovanni Colonia, Leonardo Ligorio, Marcello Lupo e Giacomo Silvano
Un palco prestigioso quello del Teatro Argentina per un testo importante interpretato da attori che, emozionati, hanno trasmesso al pubblico e ai palchi della galleria tutta l’energia e i significati della “Sonata a Kreutzer” di Lev Tolstoj.
Il testo è a cura di Fabio Cavalli il regista che aveva diretto gli attori ex detenuti in “Cesare deve morire” e che ne dirige altri ancora detenuti nel carcere di Rebibbia. Definisce il testo adatto ad uno spettacolo agevole, facile da realizzare dal punto di vista della scenografia: rappresentare i protagonisti seduti in uno scompartimento di un treno. I suoni di esso rappresentati dalla batteria (Andrea Nunzi) accompagnata dalla voce di Irene Moretti.
Un testo che all’epoca della pubblicazione costrinse Tolstoj a giustificarsi, visto come un attacco alla musica, all’arte, come l’espressione della condanna che Platone enunciò “l’arte libera e sfrena, così succede che, se tutti si scatenano, l’animo passionale prende il sopravvento sulla Polis”.
La trama stessa, sebbene semplice, è pregna di un’intensità che non ha pari. Protagonista è Pozdnyshev, interpretato da Francesco De Masi, un uomo che racconta in un lungo monologo la sua ossessione per la moglie, la sua gelosia morbosa e l’atto che lo ha condotto a una tragedia personale: l’omicidio della stessa.
Lo strumento che Tolstoj usa per far esplodere la sua narrazione è la musica, simbolo di una passione incontrollabile, la quale diventa metafora di un’emozione che travolge e distrugge.
“È colpa della musica, vedendo mia moglie che suonava ho scoperto che come le sue dita sul pianoforte, poteva disporre del suo corpo come voleva, non era più mia ed è lì che ho cominciato ad amarla”.
Il personaggio di Pozdnyshev è una bomba emotiva pronta ad esplodere e il teatro offre l’opportunità di esplorare quella violenza psichica che il narratore tenta di comunicare. Ogni parola che Pozdnyshev pronuncia è come un colpo di pistola, ogni gesto è intriso di quella tensione repressa che lo conduce al crimine.
Intreccio di emozioni violente, riflessioni filosofiche e una critica sociale profonda, che si adatta splendidamente a un palco in grado di mettere in risalto la tensione tra i personaggi e il conflitto interiore che ciascuno di essi vive.
L’intensità maggiore viene raggiunta unendo al testo attori puri che gestiscono le emozioni con passione e creato da persone che anche se di riflesso, l’esperienza estrema l’hanno fatta. Nel testo rappresentato al Teatro Argentina non siamo nella tundra russa ma nella “tundra calabrese”, il viaggio è da Palermo a Rossano, viaggio che realmente si percorre in 18 ore. Ed è così che nel vagone oltre alla guardia (Leonardo Ligorio), ci sono l’avvocato (Giacomo Silvano), il commerciante di riso e farina (Giovanni Colonia), il grande commerciante di maiali (Marcello Lupo) e il narratore Juàn Dario Bonetti.
La forza del testo è nella sua capacità di spingere lo spettatore a riflettere, non solo su ciò che accade, ma sul significato profondo di quello che non viene mai detto. Non si ha la certezza che lei abbia tradito Pozdnyshev anzi è molto probabile che non sia così che sia solo nella sua mente e, come ogni grande opera teatrale, lascia il pubblico con il dubbio, con la domanda senza risposta, e con la consapevolezza di essere stato testimone di un dramma universale, eterno e inesorabile.
Uno spettacolo intenso e ricco di emozioni, quelle degli attori che impeccabili hanno sostenuto l’interpretazione senza errori o indugi, le parole correvano fluide tra uno e l’altro rispettando le battute e la drammaticità della trama. Un debutto unico e che speriamo possa ripetersi presto su altri palcoscenici italiani.