In psicoanalisi si dice che affinché nasca un bambino debbano esserci tre desideri, quello della madre, quello del padre e quello del bambino di venire al mondo.
Tuttavia a volte desiderare ardentemente di diventare genitore non è sufficiente e per superare il limite biologico posto dalla sterilità si deve ricorrere alla scienza, con non poche implicazioni a livello psicologico.
Facciamo un po’ di chiarezza.
Per PMA, acronimo di Procreazione Medicalmente Assistita, si intende: “una serie di procedure e tecniche che comportano il trattamento di ovociti umani, di spermatozoi o embrioni nell’ambito di un progetto finalizzato a realizzare una gravidanza” (cit. fonte: www.progestazione.it).
Le tecniche sono diverse e tarate sui problemi di infertilità, ovvero l’incapacità a concepire dopo un anno di relazioni sessuali senza anticoncezionali, oppure di sterilità, che consiste nell’impossibilità di portare a termine la gravidanza.
A seconda delle cause che impediscono un concepimento naturale vengono impiegate tecniche differenti che, per legge (rif. 40/2004 e successive modifiche) devono essere applicate con gradualità, aprendo cioè dalle meno invasive (tecniche di primo livello).
Senza addentrarci nello specifico, le più diffuse attualmente sono: l’inseminazione intrauterina (IUI), la fecondazione in vitro e il trasferimento embrionale (FIVET), l’iniezione intra-citoplasmatica dello spermatozoo (ICSI-IMSI).
È ormai riconosciuto da numerose ricerche che chi, durante il suo cammino di vita, ha problemi di fertilità presenta una serie di sintomi psicologici che lo rendono più vulnerabile sia da un punto di vista fisico che psichico.
Sebbene il percorso di PMA osservi procedure controllate e meticolose, quando la coppia decide di farvi ricorso, va incontro inevitabilmente ad un’esperienza sfibrante che viene vissuta diversamente da uomini e donne.
Nelle prime il processo di valutazione di sterilità include spesso frequenti controlli dei livelli ormonali nel sangue e monitoraggi quotidiani del ciclo mestruale attraverso ecografie transvaginali e, talvolta, con procedure diagnostiche anche più invasive.
Negli uomini l’analisi del liquido seminale e dei livelli ormonali può essere piuttosto avvilente. L’impiego di terapie ormonali può avere fastidiosi effetti collaterali.
Quando si ascolta una donna infertile i sentimenti più esperiti sono la perdita e la depressione, la rabbia, l’incapacità di accettare una diagnosi, il senso di colpa, il trauma e il conseguente rifiuto ad accettare il lutto.
Competenza e autostima sono subito compromesse perché si sentono incapaci di affrontare quello che le altre sembrano fare con (apparente) facilità.
Spesso arrivano a assimilare la fertilità con la felicità e considerano la maternità come lo scopo principale della loro vita, nutrendo aspettative irrealistiche o esagerate rispetto al figlio che non arriva.
Se nella donna l’impatto della PMA può toccare corde di sofferenza altissima, gli uomini non ne sono esclusi, sebbene la loro esperienza sia dissimile.
Alcuni manifestano episodi transitori di impotenza e di ansia da prestazione sessuale, bassi livelli di autostima e disagio prolungato anche nei mesi successivi al trattamento; La percezione di stress aumenta quando sono loro i responsabili dell’infertilità.
L’infertilità diventa un tarlo nella coppia che non a pensare ad altro.
Per non parlare della pressione a cui è sottoposta quando vi è la necessità di programmare i rapporti sessuali; tutto ciò influisce negativamente sul desiderio e di conseguenza anche sulle prestazioni, con il risultato che l’intimità diminuisce drasticamente.
Sia le donne sia gli uomini devono fare i conti con le conseguenze sociali, l’isolamento è una di queste.
In parte dovuto all’effettiva o presunta inaccettabilità sociale e alla mancanza di empatia da parte di familiari e amici.
In parte legato alla stigmatizzazione, questo perché nella società moderna il valore della fertilità è così radicato che spesso le coppie infertili sperimentano una profonda solitudine.
C’è un’accordanza scientifica che dimostra che le coppie infertili, rispetto a quelle fertili, sono suscettibili di una maggiore sensibilità interpersonale e a sviluppare sintomi depressivi.
Questo perché l’infertilità è un’esperienza connotata da una serie di perdite: del figlio desiderato, della trasmissione del proprio patrimonio genetico, del bambino ideale, della genitorialità, dei progetti di vita e dei traguardi prefissati, della funzionalità sessuale, della soddisfazione coniugale, del controllo sui propri organi riproduttivi e del sentirsi normali.
La perdita di controllo sulla propria vita viene avvertita come una delle conseguenze emotive più difficili nell’infertilità.
Oltre a queste alterazioni dell’equilibrio psicologico, che in modo più o meno consistente attraversano la coppia che si sottopone al protocollo PMA, c’è sempre un’esperienza antecedente, fatta di lunghe attese, investimenti emotivi, economici, talvolta fallimenti pregressi; e una delicata fase che fa seguito al trattamento.
In caso di successo la coppia vivrà la gravidanza con una profonda gioia alternata all’angoscia per una possibile perdita e si troverò a compiere in tempi relativamente brevi una ridefinizione di identità (da infertile a genitore); in caso di insuccesso, la sofferenza riguarderà il tema del lutto e la motivazione a ripetere il trattamento.
Data l’alta aspettativa, quando un ciclo fallisce i pazienti spesso decidono di non sottoporsi ai successivi, proprio per il peso psicologico che tali cure comportano. Dopo ripetuti fallimenti terapeutici non sono rari per i pazienti riferire sintomi depressivi, ansiosi e rabbia. Da qui la necessità per un paziente di essere preparato e seguito durante tutte le fasi del percorso della Procreazione Medicalmente Assistita (previsto per legge).
Per le coppie che si avvicinano alla PMA è assolutamente importante una valutazione iniziale, in modo che i pazienti a rischio di sviluppare sintomi di ansia e/o depressione potranno essere tenuti sotto osservazione.
Sempre in questa prima fase è opportuno fornire chiare informazioni e istruzioni alla coppia per far loro acquisire competenze nell’affrontare insieme i problemi che emergeranno. Il sostegno psicologico offre inoltre la possibilità di affrontare le dolorose dinamiche interiori poiché, senza un’adeguata accettazione ed elaborazione della propria difficoltà a procreare naturalmente, non può esserci spazio per un nuovo progetto all’interno della coppia.
Dott.ssa Elena Albieri
Quando nacque Daria niente fu più lo stesso.
Immagine di copertina Pixabay.