“Operazione Vendetta” si presenta come un thriller di spionaggio che sfida le convenzioni del genere, offrendo una nuova visione dell’eroe in un contesto di vendetta e giustizia. Dal 10 aprile al cinema prodotto dalla 20th Century Studios vede protagonisti il premio Oscar® Rami Malek e il candidato all’Oscar® Laurence Fishburne
Con Rami Malek nel ruolo di Charlie Heller, un decodificatore introverso della CIA, il film presenta un protagonista che non risponde agli archetipi tipici degli agenti segreti muscolosi e spavaldi. Heller è un “nerd” della CIA, un uomo che si ritrova a dover fare i conti con un dolore insopportabile e con una vendetta che decide di mettere in atto da solo, senza l’aiuto dei suoi superiori. È proprio questa distanza da una figura di eroe convenzionale che rende “Operazione Vendetta” un racconto intrigante.
Il film si distingue non solo per il suo protagonista, ma anche per la qualità della scrittura e della regia. James Hawes, il regista, riesce a costruire un’atmosfera tesa e coinvolgente, equilibrando momenti di introspezione con scene di azione mozzafiato. Il film si basa su un’intelligenza che, pur non tradendo mai l’essenza del thriller d’azione, si allontana dalle solite scenografie e sequenze esplosive, scegliendo piuttosto di far leva su un’intensa costruzione psicologica e una trama che ruota attorno al riscatto personale.
In effetti, la forza principale del film è proprio la caratterizzazione di Heller, che sfida l’idea di un agente segreto fisicamente perfetto. Malek, sempre impeccabile nel suo approccio ai ruoli complessi, interpreta un uomo che, pur non essendo un combattente tradizionale, compensa con la sua astuzia e intelligenza.
Questo approccio alla vendetta è la vera novità del film: invece di affidarsi alla forza bruta o alla violenza diretta, Heller agisce come un uomo che ha imparato a usare la sua mente come l’arma più potente. In un contesto dove molti protagonisti scelgono la vendetta come un atto di giustizia violenta, il film riesce a trasmettere una riflessione più profonda su come le emozioni – in particolare il dolore – possano motivare un cambiamento radicale nelle azioni di un individuo.
Il film, come molti thriller hollywoodiani, non rinuncia a un “lieto fine” tipicamente americano, dove la giustizia viene infine servita e il protagonista, seppur attraverso metodi discutibili, riesce a raggiungere il suo obiettivo.
Il cast di supporto gioca un ruolo altrettanto importante, con Laurence Fishburne che porta una presenza autorevole nei panni di Henderson, un ex colonnello della CIA incaricato di addestrare Heller sul campo. La relazione tra i due è una delle dinamiche più interessanti del film, non solo per il contrasto tra i loro caratteri, ma anche per il modo in cui Heller riesce a conquistare il rispetto di Henderson, non con la forza, ma con il suo coraggio e la sua determinazione.
Fishburne offre una performance misurata ma intensa, che permette di esplorare l’idea di come anche i personaggi più scettici possano cambiare opinione quando si trovano di fronte a qualcosa di inaspettato.
L’intensità emotiva non proviene solo dai protagonisti. Jon Bernthal, noto per il suo ruolo in The Walking Dead, interpreta The Bear, un collega di Heller che, pur nella sua durezza, offre un supporto silenzioso ma significativo. Il suo personaggio rappresenta un altro lato della CIA, quello dell’agente sul campo, che non si ferma a filosofie intellettuali, ma che reagisce istintivamente. L’alternanza tra Heller e personaggi come The Bear crea una tensione che arricchisce la narrazione, spingendo il film verso territori più complessi e psicologicamente sfaccettati.
La scenografia di Maria Djurkovic, già apprezzata per il suo lavoro in The Imitation Game, gioca un ruolo cruciale nel rafforzare il tono e il tema del film.
Le location, da Istanbul a Londra, non sono semplicemente sfondi: sono spazi vivi, che arricchiscono la storia e contribuiscono a creare un senso di pericolo e mistero. La scelta di girare in luoghi meno convenzionali, come il ponte di vetro dell’Embassy Gardens a Londra, trasmette un senso di vulnerabilità e fragilità, come se ogni passo del protagonista potesse essere il suo ultimo. In questo senso, la scenografia non è solo decorativa, ma funzionale, immergendo il pubblico in un contesto in cui il pericolo è palpabile e la fiducia è rara.
Un altro aspetto notevole di “Operazione Vendetta” è la sua capacità di inserire momenti visivamente spettacolari, come la scena del crollo della piscina a Berlino, ma senza mai perdere di vista la profondità emotiva del personaggio principale. Queste sequenze, pur essendo cariche di tensione, non sono mai fini a se stesse; servono a sottolineare la trasformazione di Heller da intellettuale introverso a uomo che sa esattamente cosa deve fare per ottenere giustizia, senza lasciarsi distrarre dalle emozioni.
In conclusione, Operazione Vendetta è un thriller che si distingue per la sua profondità psicologica, una messa in scena meticolosa e un’interpretazione straordinaria di Rami Malek. Non è solo una storia di vendetta, ma una riflessione sulla solitudine, sulla giustizia e sulla lotta interiore. La decisione di spostare il focus dal tipico eroe d’azione a un “nerd” della CIA è una scelta coraggiosa che paga, offrendo una nuova visione dell’agente segreto e spingendo il pubblico a interrogarsi sulla vera natura della vendetta e del potere.
E sebbene il film si concluda con un finale che rispetta la tradizione del lieto fine americano, lascia comunque spazio alla riflessione sul fatto che la vendetta, pur avendo motivazioni comprensibili, porta con sé delle sfumature morali che non sono facilmente risolvibili.