Quando si vive sotto dittatura la linea di confine tra colpevoli e vittime è molto sottile. Questo sembra saperlo molto bene Rosella Postorino, che con il suo romanzo, “Le Assaggiatrici” sottolinea come spesso le contraddizioni e le ambivalenze insite nell’animo umano hanno ben poco di eroico.
Prendendo spunto da una storia vera, l’autrice indaga sulla vita di una assaggiatrice di Hitler scoperta casualmente su un trafiletto di un giornale.
L’assaggiatrice in questione era Margot Wolk, Berlinese e donna di 96 anni che era stata reclutata dai nazisti per fare l’assaggiatrice dei pasti del Fuhrer, per scongiurarlo dall’avvelenamento.
Pur non essendo nazista, non aveva potuto opporsi, passando quindi anche lei nella condizione di una vittima del regime, che, non solo rischiava di morire ad ogni pasto, ma che, era anche nutrita e in un certo senso privilegiata in uno dei periodi più pregni di fame e povertà.
Questo senso di colpevolezza attanaglia la protagonista del romanzo, chiamata Rosa come l’autrice per altro, la quale cerca di sottrarsi al giudizio di colpa che lei stessa si affligge riconoscendo perfettamente il senso di vacuità della vita umana già condannata a morte con la nascita.
Il nodo cruciale di tutta la vicenda si basa proprio sulla capacità di adattamento dell’animo umano a condizioni di coercizione totale, divenendo colluso al sistema che lo ha intrappolato.
Rosa Sauer ha paura la prima volta che assaggia il pasto destinato a Hitler, insieme ad altre donne reclutate come lei. Poi, sembra quasi assuefarsi a questa condizione pasto, dopo pasto. Trovando addirittura il modo di sentirsi in qualche modo messa in salvo e protetta dai possibili risvolti negativi della seconda guerra mondiale. Il senso di colpa per essersi adattata alla violenza della guerra, non la abbandonerà mai fino alla fine. E la punizione per questo è la Vita stessa. Non la morte.
Romanzo meraviglioso, esistenzialista e storico, denso e inaspettato, che indaga su una parte della storia ancora poco conosciuta ai più. Il linguaggio utilizzato per la narrazione è estremamente pulito, asciutto e originale al tempo stesso. L’autrice riesce inoltre, ad evocare visivamente un’immagine associando un aggettivo al nome. Come “corpo-avaro” o “viso-sassoso”.
“Non si diventa mai adulti” di Pamela Druckerman edito da Sonzogno