Quando si parla di recitazione, lavoro dell’attore, metodo Strasberg, entrare nel personaggio, trasmettere al pubblico passione, ecco è proprio questo che Gabriele Lavia è riuscito a fare ne “Il padre” di August Strindberg alla prima di ieri 23 gennaio 2018
Lavia è seducente, maschile e allo stesso tempo vulnerabile. Una miscela intrigante e riuscita, affiancato da un’attrice che risulta gelida e perfida nella parte della moglie Laura: Federica Di Martino.
La tragedia di Srindberg, il grande drammaturgo svedese è stata scritta alla fine dell’ Ottocento eppure risulta moderna e attuale. Al Teatro Quirino di Roma fino al 4 febbraio con un protagonista eccezionale, l’attore nel senso più completo del termine, Gabriele Lavia che in questa pièce è anche regista.
La scena si apre e davanti al pubblico si svelano pomposi drappi rossi di velluto che coprono le enormi finestre, il soffitto è altissimo. In terra continua ad estendersi il tessuto corposo e morbido, ricoprendo interamente il palcoscenico, di color rosso acceso.
Lo spettatore ne rimane immediatamente affascinato, il senso di inquietudine è accentuato dall’importanza e dominanza di questo colore, eppure allo stesso tempo è avvolto in questo abbraccio caldo.
Rosso come il sangue, rosso come il dolore che carezzerà Il padre lentamente durante tutta la rappresentazione.
Il mobilio sbilenco della scenografia sottolinea l’instabilità della vita umana, la certezza che fugge via, dietro una casa apparentemente solida e stabile in realtà si nascondono scrivanie e poltrone con gambe più corte o più lunghe. Ed è proprio attraverso questo senso di movimento e incertezza che si sviluppa il dramma del padre che si trova innanzi, dopo una vita passata assieme, una moglie crudele e determinata che insinua in lui il dubbio della paternità.
Lui che voleva dare alla piccola figlia Berta (Anna Chiara Colombo) un futuro diverso. Lui che voleva mandarla a studiare in città sotto le cure di un maestro, per renderla colta e indipendente. Mentre la madre la vuole tenere a casa per sviluppare le sue doti di pittrice, più classiche e congeniali per una donna.
I ruoli si invertono Il padre, più moderno, vede un futuro diverso mentre la madre la vuole tenere a sé.
Il ruolo materno, nella pièce, assume diverse sembianze, con tutte le diverse sfaccettature delle donne della casa. La moglie Laura che lo rifiuta e d’accordo con il medico (Michele Demaria) lo fa credere pazzo pur di togliergli la figlia. La tata (Giusi Merli) che lo tratta come un bambino pur essendo un uomo adulto, la suocera che dialoga con gli spiriti e naturalmente è contro ogni cosa che lui fa.
Il padre ne esce una figura stanca, scienziato colto e moderno ma che alla fine cede alla pazzia messo al muro dalle donne della sua casa.
Alla fine del primo atto si ritrova ai piedi della moglie mentre fiera come una Fenice che risorge dopo vent’anni di matrimonio. Lei che seduta con le gambe scomposte e la camicia da notte drappeggiata bianca gioca con lui come un gatto con il topo. I capelli lunghissimi sciolti sulle spalle. Poi i loro corpi a terra sul drappo rosso che rotolano tra il dolore e l’incertezza, mentre l’alba sopraggiunge insieme al dubbio.
Al Teatro Quirino fino al 4 febbraio 2018 e poi in tournée a Bologna, Milano, Torino, Genova e Udine. Lo spettacolo da non perdere, una scenografia fantastica di Alessandro camera e i costumi di Andrea Viotti.
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