Come nota la psicoterapeuta Elena Riva, negli ultimi tempi il mito della magrezza ascetica si sta radicalmente trasformando e le nuove forme di anoressia portano con sé significati differenti, ma che allo stesso tempo mantengono un legame con il rifiuto della funzione riproduttiva e materna del corpo
Sono i primi giorni dell’aprile del 1943 e Simone è chiusa nella sua stanza, priva di forze fisiche, ma preda di repentine immagini mentali. Le idee si susseguono ad un ritmo incessante nella mente di Simone; l’inedia del corpo è surclassata e marginalizzata da una vivacità psichica che non cessa la sua attività nemmeno di fronte alla malattia.
Simone, infatti, è affetta da tubercolosi, ma ancora di più dal rigore che ha deciso di infliggere al proprio corpo.
Non riesce più a deglutire, se non un tuorlo d’uovo con un po’ di zucchero e qualche ciliegia. Lo stomaco ormai rigetta anche l’acqua e Simone sembra un’impronta fossile, ciò che resta del corpo sottoposto a un regime di sacrifici durato per anni.
Simone ha lottato per tutta la sua vita. Ha vissuto la condizione degli operai nelle fabbriche, ha avuto profonde lacerazioni religiose che l’hanno portata, da ebrea, a scegliere il Cristianesimo quale unica religione in grado di comprendere la condizione degli schiavi.
Ora le tornano in mente le parole che scrisse qualche tempo prima:
“Se Eva causò la rovina dell’umanità mangiando il frutto, l’attitudine opposta, guardarlo senza mangiarlo, potrebbe essere quanto occorre per salvarla”.
La scelta di non mangiare, per Simone, è una scelta filosofica, ideologica, mistica. Il corpo mortificato rappresenta il trionfo dell’ideale, ma simbolicamente e materialmente anche la sua estrema sconfitta.
Simone ripensa a sua madre, a quanto amasse i bambini rumorosi e brillanti, a quanto odiasse le smorfie e le frivolezze delle bambine. Selma, sua madre, un giorno scrisse:
“Faccio del mio meglio per incoraggiare in Simone non le grazie della fanciullina ma la dirittura del ragazzo, anche se rischia di passare per ruvidezza”.
Simone Weil, filosofa, mistica e scrittrice francese, muore il 15 aprile 1943, devastata dall’anoressia che l’ha portata a rinunciare completamente alla vitalità della carne.
La condizione della Weil rientra in quel tipo di anoressia che è stata nel tempo definita ascetica. L’esempio storico più famoso è quello di Santa Caterina da Siena, che con Simone Weil condivide molti aspetti: il rifiuto della carne, il sacrificio del corpo per un ideale superiore (un ideale religioso per Caterina, filosofico per Simone), la superiorità dell’intelletto rispetto alla maternità e alla funzione riproduttiva del corpo.
In Caterina ed in Simone c’era il rifiuto della sessualità femminile e con essa il ruolo imposto alla donna nella società. Se nella Weil il rifiuto della sensualità corporea femminile derivava dagli insegnamenti diretti della madre, che educò la figlia ad identificarsi nell’intelletto – “qualità” tipicamente maschile secondo i dettami dell’epoca -, in Caterina da Siena l’ascesi mistica, che passa per la mortificazione corporea, si sviluppò per contrapposizione al materno. Lapa, la madre di Caterina, ebbe più di 20 figli e la morte di parto di una delle sorelle a cui Caterina era più affezionata, portò la futura santa a rifiutare il suo corpo quale oggetto di riproduzione, identificandosi in un maschile combattivo e intransigente, in grado di competere intellettualmente con le più alte figure della sua epoca: papi, re e nobili.
Chiara è una ragazza di 15 anni, che arriva in terapia perché non si sente a suo agio con il suo corpo. Non sembra interessata al suo peso, come ci aspetteremmo per abitudine culturale. La bilancia non è un nemico, o al contrario il suo sostegno ossessivo. Ne è completamente disinteressata. Ciò che la preoccupa sono i fianchi molli, la pancia morbida, le gambe troppo flaccide. Quel corpo le ricorda quello di sua madre, da cui ha preso forme, geni, silhouette. Chiara passa molto tempo in palestra per modificare il suo corpo, tonificarlo. Non vuole perdere peso, vuole mettere su muscoli scolpiti.
Il caso di Chiara racconta del passaggio verso l’anoressia estetica, non più fondata sull’immagine di un corpo de-sessualizzato e privato delle forme femminili, ma reso efficiente fino all’estremo.
Il nuovo corpo desiderato dalle adolescenti e dalle giovani donne non è più scheletrico ed emaciato dalla privazione di cibo, ma diventa androgino, coniugando in sé aspetti della femminilità con attributi un tempo esclusivamente maschili, quali ad esempio lo sviluppo muscolare. Il disgusto delle nuove forme anoressiche non è più rivolto al peso, ai chili di troppo, quanto alla flaccidità corporea.
Durante la pandemia è stato riscontrato un aumento del 40% dei casi relativi ai disturbi alimentari.
Accanto ai disturbi più “tradizionali” (anoressia, bulimia, binge eating), c’è stata un’esplosione di nuovi comportamenti, quali l’ortoressia e la vigoressia. Nel primo caso si tratta di una fissazione, quasi ossessiva, per l’alimentazione sana; nel secondo per l’attenzione maniacale all’allenamento sportivo.
Le due nuove forme di controllo del corpo e dell’alimentazione, sono ben spiegate dalla dott.ssa Riva, da un mutamento del rapporto fra il Sé Ideale ed il corpo.
Se nell’anoressia ascetica, il Sé era completamente rivolto all’Ideale mistico, religioso, politico, e il controllo corporeo avveniva attraverso la mortificazione del carnale, nell’anoressia estetica è il Sé a diventare Ideale, nello sviluppo di un narcisismo ipertrofico che nel corpo scolpito e muscoloso trova la perfetta corazza alle fragilità psicologiche ed esistenziali.
In questo senso, sempre la Riva, identifica un doppio processo che conserva alcuni elementi di continuità con l’anoressia ascetica, ma che manifesta anche profonde trasformazioni, che sono contigue al cambiamento culturale e sociale.
Da una parte persiste una forclusione del materno: se nei casi di Caterina da Siena o Simone Weil il materno era rifiutato perché mortifero e sottomesso e il corpo diventava lo strumento di desessualizzazione del femminile, nei casi più recenti il materno è rifiutato in quanto fonte di fragilità e ostacolo verso il successo, che il corpo manifesta nelle forme morbide e accoglienti.
Dall’altra, i nuovi corpi femminili riflettono i nuovi ruoli sociali che il femminile sta costruendo. Ad un Sé prestazionale, competitivo ed efficiente, corrispondono corpi scolpiti e prestanti, che rifiutano i vissuti di dipendenza e sottomissione attribuiti al femminile materno e che si “virilizzano”, anche in senso simbolico, tramite la ricerca di quei connotati un tempo esclusivamente attribuiti al maschile: la forza, l’indipendenza, il successo.
In tale contesto, la sessualità femminile non è rifiutata, ma accolta quando è contemplata dagli altri e accostata al successo personale. Una sessualità che non ha come scopo la riproduzione, ma l’affermazione del Sé e dell’identità che compete verso la perfezione della prestazione.
La compresenza nel corpo femminile di immagini simboliche un tempo reificate nella virilità e nella femminilità, dunque nei ruoli sessuali rigidi imposti socialmente, non è problematica da un punto di vista di genere, quanto da un punto di vista emozionale. Il rifiuto della fragilità – che nel maschile è chiara da tempo – sembra essere sempre più presente anche nelle nuove forme di modellamento corporeo nelle donne. Una fragilità che, se non esplorata e compresa, può esprimersi in forme complesse e talvolta problematiche. Una fragilità rinnegata che, infine, parla espressamente dei valori del nostro tempo.
Fonte © 2024 Ordine degli Psicologi del Lazio