Dal 14 al 19 gennaio al Teatro Quirino di Roma in scena la rilettura contemporanea della commedia “I parenti terribili” con la regia di Filippo Dini. Una produzione Teatro Stabile del Veneto, Teatro Nazionale, Fondazione Teatro Stabile di Torino Teatro Nazionale, Fondazione Teatro di Napoli Teatro Bellini, Teatro Stabile Bolzano. I protagonisti della pièce interpretati da Milvia Marigliano, Mariangela Granelli, Filippo Dini, Giulia Briata, Cosimo Grilli
“I parenti terribili” di Jean Cocteau si evidenzia il dramma in cui l’autore traccia il ritratto di una famiglia imbrigliata in legami morbosi e distruttivi, intrappolata in un circolo vizioso di segreti e passioni irrisolte. Filippo Dini, in scena con un cast eccellente, rilegge questo capolavoro del Novecento con un’interpretazione che riesce a scardinare la tensione claustrofobica della pièce, mettendo in risalto la sua componente più umana, tragica e, al contempo, grottescamente comica.
Cocteau, qui, si allontana dalla sua consueta scrittura intellettuale e astratta, per approdare a una struttura teatrale più accessibile, pur mantenendo una sua enigmaticità. La famiglia protagonista è una vera e propria prigione, il “Carrozzone” da cui tutti partecipanti vogliono scappare ma in cui ogni suo membro ne è prigioniero, come la madre Yvonne (Mariangela Granelli), che oscura l’esistenza del figlio Michel (Cosimo Grilli) con un amore esclusivo e morboso, o la zia Leonie (Milvia Marigliano), che, con la sua presenza silenziosa e manipolatrice, sembra orchestrare invisibilmente le vite di tutti “Ho sposato un disordine con un altro disordine e vi ho osservato per 23 anni” è quanto confessa alla coppia Yvonne e Georges di cui era innamorata da sempre. L’intreccio di relazioni incestuose e inconfessabili rendono la narrazione di Cocteau un concentrato di inquietudine che il regista Dini coglie nella sua essenza.
Yvonne è memorabile, una madre che vive come un animale in gabbia, da lei creata, per stare ossessivamente a fianco del figlio, di cui non accetta l’emancipazione, l’amore per un’altra donna che non sia lei. Psicologicamente incestuoso, madre e figlio sono legati dal senso di colpa di lui di allontanarsi e tradirla e dalla paura dell’abbandono di lei.
Georges (Filippo Dini) il padre, diventa il catalizzatore di un conflitto che si consuma tra rimorsi, desideri di rivalsa e tradimenti.
L’impianto scenico, curato da Maria Spazzi, è essenziale e inquietante, con arredi che accentuano la sensazione di oppressione, mentre le luci di Pasquale Mari giocano sugli spazi chiusi e l’ombra, aumentando il senso di claustrofobia. I costumi di Katarina Vukcevic, con il loro taglio classico e la palette cromatica decisa, completano un lavoro visivo che si sposa perfettamente con l’anima tragica della pièce.
Le musiche di Massimo Cordovani si integrano perfettamente, creando un sottofondo che amplifica le emozioni, conferendo alla messinscena una dimensione quasi sinfonica. A tratti un po’ nostalgiche come la scelta del classico “Tornerai” di Dalida.
Filippo Dini, alla regia, si conferma un interprete sensibile e profondo, capace di valorizzare la dimensione attoriale e psicologica del testo, mantenendo un equilibrio tra la verità dei sentimenti e l’elemento teatrale, pur senza mai rinunciare alla forza distruttiva che Cocteau infonde nel suo racconto. Il risultato è uno spettacolo che, pur essendo aderente alla drammaturgia originale, si arricchisce di un’interpretazione personale, incisiva e di grande valore. “Unbelievable” è la parola che ogni personaggio si scambia e nomina durante tutta la pièce come se tratti fossero consapevoli di far parte del grottesco “carrozzone”.
La riflessione sul conflitto familiare e sull’amore come potere distruttivo viene restituita con un’energia che rapisce e inquieta, lasciando lo spettatore in bilico tra la tragicità e il grottesco.
Il teatro di Cocteau non è mai del tutto realistico: è un teatro dell’anima, dove la forma e la materia sembrano distorcersi per esprimere un’intensità emotiva più forte della verosimiglianza. Le sue opere sono attraversate da una scrittura che mescola il lirico e il grottesco, il sacro e il profano, in una continua oscillazione tra la bellezza e la tragedia, tra il sogno e la realtà. Le sue pièce sono spesso intrise di un’atmosfera surreale, che fa lievitare le situazioni quotidiane verso il fantastico, come se il mondo fosse un palcoscenico abitato da esseri sospesi tra il terreno e il soprannaturale.
In sintesi, il teatro di Jean Cocteau è un teatro dell’intensità, dove l’invisibile emerge sotto forma di simboli, immagini e metodi di comunicazione non convenzionali.
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