Home Scienza L’Epatite C e gli avanzamenti medici sulla cura del virus

L’Epatite C e gli avanzamenti medici sulla cura del virus

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Il prof. Gian Ludovico Rapaccini

Lo scorso 10 giugno si è tenuto il Convegno sull’ Epatite C nella prestigiosa sede del Ministero della Salute a Roma. Numerosi sono stati gli interventi dei professionisti nel settore, che hanno esposto gli avanzamenti sulla cura del virus uniti nel prezioso obiettivo di eradicarlo entro il 2030

Il prof. Gian Ludovico Rapaccini direttore U.O. Medicina Interna e Gastroenterologia della Fondazione Policlinico Gemelli è stato il Coordinatore Scientifico dell’evento ed è a lui che ci siamo rivolti per approfondire l’argomento.

Tra i punti chiave affiorati durante la conferenza sono emersi due fattori d’interesse sociale che necessariamente sono di coinvolgimento pubblico.

Il primo riguarda la capacità di guarigione dei pazienti affetti dal virus, il secondo l’aspetto divulgativo per sensibilizzare nella scoperta dello stesso nella popolazione.

Abbiamo chiesto al prof. Rapaccini le percentuali di guarigione e la tipologia di cura che viene effettuata sui pazienti affetti dal virus di tipo C.

“I farmaci che abbiamo a disposizione oggi sono in grado nel giro di due o tre settimane di terapia attraverso l’assunzione di semplici compresse di poter dare percentuali di guarigione intorno al 95%. La terapia in compresse è -un’arma maneggevole- praticamente priva di effetti collaterali, che permette di eliminare il virus. Da quando abbiamo questa possibilità in Italia abbiamo trattato 180mila pazienti.

Un altro fattore rilevante da sottolineare è il costo di questi farmaci, solo tre anni fa un ciclo completo pesava sulle casse della sanità la cifra di circa 40.000 euro a paziente, adesso grazie anche all’ impegno del ministro Lorenzin il costo attuale è di circa 6.000 euro per un ciclo completo. All’ inizio la direttiva ministeriale prevedeva di trattare prima i casi più gravi e solo dopo i casi con la patologia ad uno stadio inferiore, la riduzione del costo della terapia ha permesso di poter estendere la terapia a tutti.

Rimangono ancora fuori dalla percentuale di successo quel 5%, ossia i casi di individui che non rispondono alla terapia e quelli che si possono nuovamente ammalare perché perpetuano comportamenti a rischio.

Per esempio la popolazione carceraria a causa di rapporti omosessuali non protetti e i tossicodipendenti a causa di un ritorno della siringa come mezzo per l’assunzione di droghe, sono le popolazioni che possono maggiormente reinfettarsi.

Queste però sono nicchie di popolazione a rischio, la maggioranza risponde alla terapia e guarisce, tranne i casi in cui la malattia cronica del fegato ormai si è evoluta, un’altra parte comprende gli immunodepressi o i diabetici in cui il virus (essendo mutante) può risvegliarsi. Più precisamente per l’epatite c’ è un arcipelago di virus che mutano in continuazione, come per il virus dell’HIV infatti non esiste un vaccino.

Importane è anche una grande fetta di circa 200 mila persone che non hanno comportamenti a rischio o non sono stati sottoposti a cause evidenti di possibilità di contagio come trasfusioni e hanno esami del fegato normali, le transaminasi possono essere lievemente fuori dal range quindi passano inosservate ma possono aver contratto la malattia e non lo sanno”.

Prof Rapaccini a questo punto torniamo sul secondo punto emerso durante la conferenza, ossia la necessità di divulgare l’informazione

“Vista l’impossibilità di fare uno screening della popolazione, la cosa più importante è la sensibilizzazione del medico di base che può rilevare anche un minimo aumento delle transaminasi oppure vedere i risultati attraverso un’ecografia del fegato che può risultare un po’ ingrandito nei soggetti affetti dalla patologia.

Importante è anche l’anamnesi, l’interrogazione da parte dei medici di base del paziente, se ha avuto una trasfusione prima dell’89, oppure cure odontoiatriche sempre prima di quella data, perché in quel periodo non c’era un controllo importante sui materiali biologici. Il nostro obbiettivo è quello di scovare una certa fetta di popolazione che non sa di essere affetto dal virus di Epatite C e guarirla.

Questo avrebbe anche un impatto economico- sociale importante. Per le casse dello stato, ogni paziente guarito è un investimento a lungo termine, non prende giorni di malattia, non spente per i farmaci o le cure.

L’Italia è un bacino che parte con una storia epidemiologica importante, forse a causa delle vecchie abitudini, prima si usava sempre la stessa siringa sterilizzata a bagnomaria per poi utilizzarla su diversi pazienti, oppure durante il servizio di leva, avveniva la stessa cosa. Inoltre la popolazione italiana è relativamente anziana, questo fa emergere molti più casi rispetto al resto dell’Europa”.

Il prof. Rapaccini  (primo a destra) durante il convegno del 10 giugno a Roma

Ringraziamo il Prof. Rapaccini per la preziosa intervista e cerchiamo di essere tutti più accorti, anche nelle abitudini quotidiane consolidate, come recarsi dal barbiere o dall’ estetista, senza allarmismi ma con un occhio attento per prevenire ogni forma di contagio e, ne caso di dubbi di rivolgersi al medico di base per un semplicissimo esame del sangue per vedere se il virus è presente, perché l’Epatite C grazie alla ricerca scientifica è curabile se presa in tempo.

L’evento del 10 giugno è stato promosso dall’Osservatorio Sanità e Salute con il patrocinio dell’Istituto Superiore di Sanità e organizzato da Giava Congressi.