Ovunque si sente parlare di Adolescenza: i film si rivolgono ai giovani, gli autori amano scrivere libri sulle loro audaci storie, i vigorosi volti spopolano le locandine pubblicitarie e il tutto genera trend.
È il mercato che si rivolge a loro, li abbindola e intelaia prodotti fatti su misura trasformandoli in consumatori privilegiati, sebbene alcune grottesche produzioni sembrino per lo più un insulto alla loro intelligenza.
Nella nostra epoca l’immagine dell’adolescente è inflazionata e perennemente sotto un grande riflettore. Ciò che ne consegue nella loro reale e fragile vita psichica.
Diceva Ovidio nei Tristia: «bene qui latuit bene vixit», che significa “ha vissuto bene chi ha saputo stare ben nascosto”
Dalla smisurata proliferazione della rappresentanza giovanile oggi non si fugge, anzi, tale diffusione produce un effetto distorcente al punto da indurre molti a pensare che gli adolescenti siano effettivamente come li raffigurano: belli, vincenti, romantici, temerari, coraggiosi, quasi “immortali”.
Fermandosi alle soglie di questo immaginario, inizia ad affiorare una pericolosa simmetria fra l’apparire e l’essere, con fatali derive di corrispondenza fra il vero sé e l’ideale del sé. Coltivare un’immagine produce un bluff, dal quale diventa sempre più difficile venirne fuori, e, infatti, talvolta si rinuncia.
Siamo quello che appariamo?
Questa “adesività”, stigma della nostra epoca, alimenta apparenti contrasti intergenerazionali, come il giudicare le mode, i generi musicali, le modalità con cui i giovani si relazionano.
Mentre loro, partecipanti ignari, avvertono invece un giudizio reale, interno, narcisistico. I genitori, anch’essi a rischio di appetibili identificazioni, vengono a loro volta sedotti dal dispositivo mediatico. Li vediamo resistere con ogni mezzo al temuto scorrere del tempo.
Assistiamo ad angustianti tentativi di ridurre le distanze generazionali, che rendono più arduo, ai figli, il processo di identificazione con i padri e le madri.
Non ci andavano bene prima, quando erano contestatori politici, con idee rivoluzionarie, decisi a salvare il mondo
e non ci vanno bene oggi, adolescenti dimessi, distanti da ciò che li circonda e indifferenti al mondo che non sia il loro, quello virtuale. Il loro stesso linguaggio, potente, eretto sulle immagini, istantaneo, ridotto all’osso e per questo quasi indecifrabile, appare come un ultimo tentativo di demarcare un confine.
Osservando alcuni adulti, si aprono curiosi scenari: madri e padri fotocopie dei figli, mamme e figlie che indossano gli stessi abiti, uomini che si allineano con i figli maschi, coacervi di indefinitezza. Quello che avviene oggi è l’imperfetta simmetria, l’assenza di confini, di ruoli, di generi. Che i giovani si atteggino da adulti non è cosa nuova, è l’anticamera dello sviluppo, ma ciò che non possono comprendere è l’opposto. Forse perché di fronte alla loro spudorata freschezza ed impertinente impulsività, i grandi avvertono una nostalgica conferma del tempo passato? Ma che identificazione può avere una ragazza guardando alla madre, quando in lei rivede una copia di se? Che paura più grande ci può essere di specchiarsi e vedere un futuro già compiuto? Con che strepitante curiosità si legge un libro del quale si conosce già il finale?
Continua mercoledì prossimo…
Dottoressa Elena Albieri
Psicologa e psicoterapeuta
Ilterzonews@gmail.com
Foto Magritte-Decalcomania, 1966