Le giovani coppie italiane percepiscono il legame di coppia come un limite all’autonomia e alla libertà.
Un tempo vivere da soli era considerato triste e degradante (le zitelle), oggi é diventato un privilegio. Negli USA c’è chi spende enormi somme di denaro per comprarsi spazi e privacy. Questo trend riguarda un terzo della popolazione italiana, il rimanente si divide fra matrimoni, convivenze e status di single. Se l’amore “a distanza di sicurezza” rappresenta il principale obiettivo socialmente decantato, quali criteri di unione stabile esso è in grado di generare nell’epoca del tramonto dei legami sociali? Come si trasforma un rapporto dopo i primi mesi di innamoramento? Dove rintracciare il senso dello stare assieme al di là delle gratificazioni personali (finite le quali finisce la coppia)?
Nelle fasi iniziali di una relazione le persone tendono a mostrare la parte migliore e più accettabile di sé. Poi nasce un’infatuazione ognuno vede l’altro ancora più bello e inizia a idealizzarlo. È proprio il meccanismo di idealizzazione ad essere centrale nel processo di innamoramento, fondamentale poi nella conservazione della specie. Attraverso un altro meccanismo, sempre inconscio e noto come “identificazione proiettiva”, si sente idealizzato anche colui che ama. A volte, invece ci s’innamora dell’amore più che dell’oggetto dell’amore, perché ogni oggetto d’amore è un surrogato dell’amore originario (la madre o il padre). Se l’originaria relazione è stata dolorosa e frustrante, allora anche quella attuale lo sarà. Ritrovare quella fusionalità madre-bambino non sarà possibile ritrovarla eil destino dell’amore è quello di rimanere sempre, in parte, frustrato.
Superati i primi mesi d’innamoramento emergeranno altri aspetti della personalità, meno sfolgoranti.
Qui che nascono le prime incomprensioni, le prime delusioni, che poi, se manca una reciproca capacità di comunicare, vanno ad accentuarsi fino a portare alla crisi.
I modi di affrontare questi problemi variano da persona a persona: alcuni provano a nascondere il disaccordo, inscenando una rappresentazione di armonia, oppure si rassegnano e accettano il compromesso. Altri ancora decidono di cessare la relazione per cercare un’altra persona che gli faccia riprovare l’ebbrezza dell’innamoramento. In passato prevaleva la prima tendenza, oggi si tende a risolvere il conflitto con la separazione e la ricerca di un nuovo partner.
La relazione sentimentale non ha solo lo scopo di far stare bene i due partner, ma è anche il luogo in cui ognuno dei due desidera colmare il proprio senso di incompletezza e guarire una volta per tutte le ferite d’amore primarie.
Abbiamo visto nei precedenti articoli che una coppia che intenda rimanere assieme più di pochi mesi, e darsi slancio in progetti non fugaci, si ritrova oggi a fare i conti con una serie di processi, che però non vanno più ascritti alle regole non scritte della società, bensì all’autodeterminazione dei singoli.
Un tempo bastava usare il buon senso. Ridurre drasticamente le aspettative. Non lasciare morire il piacere della scoperta e non dare l’altro per scontato. Mantenere il rispetto reciproco, tollerare le immani fatiche quotidiane, comprese persino le incompatibilità personali.
Non essendo competenti nell’arte di amare, come diceva Fromm, si scambia per amore quel che è il bisogno di appartenenza.
L’antropologo Clastres, che ha studiato da vicino le società amazzoniche, racconta che “chi, per qualche grave colpa commessa, veniva espulso dalla comunità tribale, nel giro di 48 ore moriva, non per qualche accidente, ma per un dissesto mentale dovuto alla perdita della sua identità, che aveva le radici nel gruppo”.
Anche Aristotele scriveva: “La comunità esiste per natura ed è anteriore a ciascun individuo che, da solo, non è autosufficiente. Pertanto chi non è in grado di entrare nella comunità, o per la sua autosufficienza non ne sente il bisogno, non è parte della comunità e di conseguenza: o è bestia, o è Dio”.
Dottoressa Elena Albieri
psicoteapeuta e psicologa
Photo: Sara Cacciarini, Robert Indiana, Love, 1966-1999.
Scultura, alluminio policromo (red and gold), 91,5×91,5×45,75 cm. AP 3/4.
Courtesy Galleria d’Arte Maggiore, G.A.M., Bologna, Italia.
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