Il Teatro dell’Opera di Roma continua a offrire esperienze uniche nel panorama lirico internazionale, e quest’anno non fa eccezione con l’atteso debutto di “Alcina” l’opera barocca di Georg Friedrich Händel in scena dal 18 al 26 marzo. A 290 anni dalla sua prima assoluta al Covent Garden di Londra, l’opera arriva finalmente al Costanzi, regalando agli appassionati romani una nuova e straordinaria produzione diretta da Rinaldo Alessandrini e messa in scena dal regista Pierre Audi, già noto al pubblico romano per il suo lavoro su “Pelléas et Mélisande” e “Tristan und Isolde”
“Alcina”, dramma musicale in tre atti, racconta le vicende di una maga che governa su un’isola magica, dove incantesimi e trasfigurazioni s’intrecciano in una trama complessa e affascinante. La figura di Alcina, potente e seducente, è circondata da eroi che, vittime della sua magia, sono stati trasformati in animali o altre forme naturali. Il libretto di Alcina, scritto da un autore ignoto e ispirato al Orlando Furioso di Ludovico Ariosto, esplora tematiche di amore, potere e trasformazione, dando vita a una storia che coinvolge personaggi in cerca di redenzione e di ritorno alle loro forme originarie.
In questa produzione, però, ciò che emerge con prepotenza è non solo il potere magico di Alcina, ma anche un risvolto psicologico di grande intensità. Alcina non è solo una maga, ma un personaggio complesso, profondamente segnato dalla sua sofferenza interiore. La sua continua incertezza riguardo alla natura dei suoi amori, la costante oscillazione tra desiderio e disillusione, e la confusione di trovarsi di fronte un uomo o una donna, sono tutti aspetti che ne definiscono il profilo psicologico.
Vittima delle sue stesse illusioni e la sua difficoltà nel comprendere se stessa si riflette nelle sue interazioni con gli altri. Gli amori non corrisposti, l’incertezza di sapere se ciò che si ama è vero o inganno, la portano a vivere una continua e dolorosa oscillazione tra realtà e finzione, tra potere e vulnerabilità.

Nel ruolo della protagonista, Alcina, troviamo il soprano Mariangela Sicilia, Premio Abbiati 2025 come “Miglior Cantante”, che si è già distinta per la sua interpretazione nella scena musicale italiana. Accanto a lei, il controtenore Carlo Vistoli (Tamar Ugrekhelidze i 21 e 26 marzo) già vincitore del Premio Abbiati 2024 per il suo impegno in Giulio Cesare al Teatro dell’Opera di Roma, interpreta il ruolo di Ruggiero.
Al loro fianco, un cast di altissimo livello che include Caterina Piva nel ruolo en travesti di Bradamante/Ricciardo, Mary Bevan nel ruolo di Morgana, sorella di Alcina, Anthony Gregory come Oronte, Silvia Frigato nei panni di Oberto, e Francesco Salvadori nel ruolo di Melisso. L’ensemble vocale del Coro del Teatro dell’Opera di Roma, diretto da Ciro Visco, aggiunge ulteriori sfumature al dramma.
Questa produzione, frutto della collaborazione tra il Teatro dell’Opera di Roma e la De Nationale Opera di Amsterdam, è una ripresa del debutto del 2015, ma arricchita da nuove suggestioni visive e sonore. La magia dell’isola di Alcina viene raccontata non solo attraverso la musica di Händel, ma anche attraverso una regia che si distingue per il suo minimalismo raffinato, creando uno spazio teatrale che permette di esplorare la profondità psicologica dei personaggi.

La direzione musicale di Rinaldo Alessandrini, noto per la sua sensibilità nei confronti del repertorio barocco, è un altro elemento fondamentale per il successo dello spettacolo. Alessandrini, che aveva già diretto Giulio Cesare, si conferma un maestro capace di far emergere la bellezza e la complessità della partitura händeliana.
Uno dei momenti più emozionanti della serata è arrivato con l’interpretazione di Mariangela Sicilia nell’aria “Di’, cor mio, quanto ti amai”, uno dei passaggi più celebri di Alcina. Il soprano ha regalato una performance straordinaria, riuscendo a esprimere con intensità il tormento e la malinconia di Alcina, che piange la perdita del suo potere e il tradimento dell’amore. La sua voce, dolce e vibrante, è riuscita a trasmettere una gamma emotiva che ha catturato l’intero pubblico, immergendolo nel dramma interiore del personaggio. Un vero e proprio trionfo vocale, che ha lasciato il segno sin dal primo atto.

Nel secondo atto, uno dei momenti più significativi è arrivato con l’interpretazione di Bradamante, interpretata da Caterina Piva. La sua esecuzione dell’aria “Vorrei vendicarmi” è stata un trionfo di tecnica e intensità. Piva ha mostrato un timbro vocale straordinario, sostenuto e potente, con una capacità di modulare la voce che ha aggiunto una dimensione drammatica alla vendetta del suo personaggio. Ogni nota era carica di una tensione palpabile, che ha amplificato il senso di determinazione e dolore della sua vendetta, rendendo l’intero momento memorabile.

Non da meno è stata Morgana, interpretata da Mary Bevan. Il suo “D’amor s’accende ma non per te” ha risuonato come un’intensa dichiarazione di disincanto. Con una performance impeccabile, Bevan ha saputo trasmettere il distacco e il rifiuto nei confronti della sorella, esprimendo con chiarezza e potenza il conflitto interiore di un personaggio che, pur essendo legato da affetti familiari, non esita a scagliarsi contro la propria carne e sangue. La sua voce, cristallina e decisa, ha creato un contrasto affascinante con la malinconia di Alcina, aggiungendo un ulteriore strato emotivo al dramma.
Una delle caratteristiche più belle di questo concerto è l’utilizzo nel corpo dell’orchestra di strumenti settecenteschi, che conferiscono alla performance una sonorità autentica e affascinante. In particolare, l’impiego della tiorba ha arricchito il suono dell’orchestra, creando un’atmosfera di grande raffinatezza e coerenza con l’epoca barocca. Questi strumenti hanno saputo esaltare le sfumature più intime e i contrasti drammatici della partitura, conferendo alla musica una qualità vibrante e avvolgente che ha sedotto il pubblico sin dai primi accordi.
I costumi della produzione sono un altro elemento di grande interesse, perfettamente in linea con l’estetica del Settecento. I toni di grigio scuro e blu dominano l’intero spettacolo, creando un’atmosfera elegante e sobria, che però esplode nel caso di Alcina, la cui figura è arricchita da un sontuoso abito di color rosa cipria intenso. Questo contrasto cromatico è un espediente visivo che mette in evidenza il potere e l’unicità del personaggio, enfatizzando la sua centralità nella trama.
La scenografia, invece, è volutamente essenziale, con pochi elementi che lasciano spazio all’immaginazione del pubblico e alla potenza emotiva della musica e delle voci. Questa scelta minimalista permette di concentrarsi completamente sull’interazione tra i personaggi e sulla complessità psicologica che li anima. La difficoltà del lavoro di regia sta proprio nel riuscire a mantenere alta l’attenzione per oltre tre ore, nonostante la trama ingarbugliata e i numerosi colpi di scena, che si susseguono in modo vorticoso.

“Alcina” è il trentasettesimo dramma di Georg Friedrich Händel, composto in età matura nel 1735. L’opera fu un grandissimo successo al Covent Garden di Londra, dove fu rappresentata per ben diciassette repliche. La sua popolarità si deve anche alla volontà di Händel, che non solo scrisse un’opera di grande valore artistico, ma cercò anche di soddisfare i gusti del pubblico dell’epoca. Händel, infatti, era anche impresario e la sua visione di compositore era strettamente legata a una prospettiva commerciale: l’opera doveva essere tanto un capolavoro musicale quanto un prodotto in grado di soddisfare il pubblico.