Home Cultura/Spettacolo Bukowski e il “tempo per sentirsi umani” al Festival Torino Spiritualità

Bukowski e il “tempo per sentirsi umani” al Festival Torino Spiritualità

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Popolizio legge Bukowsky
Si è chiusa ieri Domenica 30 Settembre la XIV edizione del Festival Torino Spiritualità “Preferisco di no”.

Quest’anno il tema del Festival è stata la scelta del “No” come consapevolezza critica contro tutti gli schemi sociali che dietro la facciata del conformismo nascondono indifferenza verso il prossimo ma anche verso il proprio Io “umano”.

Dice “No” chi non si rassegna all’apatia morale e all’egoismo, chi si interroga e non rinuncia alla speranza e alla gentile protesta.

Si è trattata di un’edizione da record, come confermano i numeri del festival: 18000 presenze per più di 100 eventi, oltre 30 le location del capoluogo piemontese, decine le istituzioni e le associazioni del territorio coinvolte, più di 80 i volontari.

Nel corso delle cinque giornate torinesi del Festival tanti sono stati gli ospiti di prestigio testimoni di un “No” che è destabilizzazione di idee e posizioni abituali, scardinamento degli schemi, un “No” che sveglia dalla pigrizia morale e diventa resistenza intima, fiducia e speranza nella bellezza del “sentirsi” umani.

Giovedì 27 Settembre il cinque volte Premio Ubu Massimo Popolizio, tra gli attuali interpreti teatrali e cinematografici più stimati, ha dato voce al romanzo “Post Office” di Charles Bukowski. La lettura di alcuni dei passi più avvincenti del romanzo, che nel 1971 inaugurò il culto di Bukowski in Europa, ha coinvolto il pubblico di Teatro Carignano con un’atmosfera resa ancora più suggestiva dall’accompagnamento jazz del sassofonista argentino Javier Girotto.

Il protagonista del romanzo è Henry Chinaski, alter ego dell’autore, uno strano tipo di postino della periferia di Los Angeles: perennemente in ritardo, si abbandona tutte le notti a sesso e alcol, ma alle cinque del mattino è puntualmente nel suo ufficio postale ad attendere gli ordini generalmente sadici del capo. I lunghi e ripetitivi giri per consegnare lettere e plichi, compiuti con l’ansia di rispettare l’orario, si caricano in maniera grottesca di aspetti comici e tragici, e fanno da costante contrasto oppressivo all’edonismo sfrenato che subentra nella notte. Un edonismo che per Chinaski è libertà dalla rigida e burocratica macchina organizzativa, è il modo più semplice di godere del maggior piacere possibile, di “rendere la vita sopportabile”.

L’ufficio postale, metafora della società organizzata, contrasta implacabilmente quella libertà, al punto che l’unica possibilità di riaverla indietro e goderne resta il licenziamento.

Ed è quello che Chinaski infine otterrà, un licenziamento che è fuga dall’ufficio come dalla società. Post Office è certamente uno dei migliori romanzi di un narratore che dell’autoemarginazione e della critica violenta al sogno americano ha fatto il tratto distintivo della sua opera, senza mai smarrire, tuttavia, il filo di una superiore ironia, capace di rivolgersi docilmente e persuasivamente anche contro il personaggio di sé così abilmente estremizzato.

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