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Auto cyberbullismo: quando la vittima è anche carnefice

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 Solo pochi mesi fa è stata approvata dalla Camera dei Deputati la proposta di Legge per contrastare gli atti di bullismo perpetrati attraverso l’utilizzo di strumenti informatici

E già dagli States arriva la notizia di una forma di bullismo digitale: l’auto cyberbullismo, il bullo che colpisce se stesso

 Vediamo insieme di cosa si tratta. Lo scorso dicembre è apparso un articolo sul Journal of Adolescent Health, in cui veniva esaminata per la prima volta la diffusione tra gli adolescenti dell’autolesionismo digitale. Fenomeno caratterizzato da forme di aggressione online rivolte contro se stessi.
Un tipico esempio è il caso di un adolescente che crea su internet un fake account dietro il quale scrivere messaggi ricchi di insulti, critiche, anche minacce, rivolgendoli, però, non contro un coetaneo, bensì contro di sé.
I fondatori e co-direttori del Cyberbulling Research Center: Justin W. Patchin e Sameer Hinduja hanno iniziato a studiare il fenomeno nel 2013 per via del caso di Hannah Smith, una ragazzina inglese di 14 anni che si levò la vita dopo esser stata vittima di cyberbullismo sul sito ask.fm.
Nelle settimane successive al suicidio si scoprì che in realtà era stata lei stessa ad auto-inviarsi messaggi offensivi attraverso account fasulli. Nel 2016 la stessa sorte è toccata alla quindicenne texana Natalie Natividad, suicidatasi dopo aver rivolto contro se stessa insulti e pesanti critiche in forma anonima attraverso l’applicazione After School.
I ricercatori di questa inquietante scoperta hanno approfondito il fenomeno attraverso uno studio che ha coinvolto quasi 5.600 ragazzi dai 12 ai 17 anni.
È emerso che il 6% degli adolescenti intervistati ha pubblicato in forma anonima online qualcosa contro se stesso. Una tendenza maggiore ad assumere questo tipo di comportamento è stata riscontrata soprattutto nei ragazzi (7,1%) rispetto alle ragazze (5,3%), ma con motivazioni di base differenti.
Mentre i maschi affermano di compiere tali azioni allo scopo di scherzare o attirare l’attenzione.
Le ragazze, invece, hanno ammesso di averlo fatto per motivi legati a situazioni di malessere psicologico, depressione e ansia.
Sembrerebbe a tutti gli effetti una nuova forma di self harm. La versione digitale di chi si fa male intenzionalmente (es. il cutting, la pratica del tagliarsi) che interessa il 18% degli adolescenti nel mondo. Il dato è ancora più allarmante se si pensa che l’autolesionismo è il precursore di tendenze suicide.
Perché lo fanno? Per provocare una reazione da parte di qualcuno, per vedere se gli amici li difendono sui social, perché si disprezzano e si sentono depressi.
I ricercatori hanno anche individuato alcuni fattori di rischio: I non eterosessuali sono tre volte più inclini a ricorrere all’auto cyberbullismo, spesso perché sono oggetto di discriminazione. Inoltre, chi in precedenza è stato vittima di bullismo ha il 12% di rischio in più di diventare autolesionista digitale. Altre cause che possono favorire questa inclinazione sono la dipendenza da droghe, la presenza di sintomi depressivi e l’aver già praticato autolesionismo “tradizionale”.
I genitori cosa possono fare? Invece di demonizzare la tecnologia, strumento che amplifica un disagio preesistente, dovrebbero coinvolgersi di più nelle vite dei figli, senza giudicarli o criticarli. È fondamentale mantenere aperto un canale di comunicazione, altrimenti i ragazzi non si fideranno più di loro e non racconteranno niente. E d’ora in poi stiamo attenti a non demonizzare i bulli perché, che piaccia o no, a volte la vittima e l’aggressore sono la stessa persona.
Dott.ssa Elena Albieri psicologa e psicoterapeuta.
Riceve su appuntamento a Fregene e a Roma (tel. 320 9330549)

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