La pièce “L’origine del mondo, ritratto di un interno” la cui la regia e il testo sono di Lucia Calamaro è in scena al Teatro Argentina di Roma dal 22 al 28 marzo, in una versione rinnovata dopo il debutto del 2011. Nel cast Concita De Gregorio, Lucia Mascino e Alice Redini.
Sono tre le protagoniste dello spettacolo di Lucia Calamaro suddiviso in tre atti con quadri tematici diversi uniti dal filo conduttore della depressione raccontata senza pesantezza ma anzi, con un velo di intelligente ironia.
Nel I Atto la “Donna melanconica al frigorifero” Concita De Gregorio nel buio della scena apre la porta di un frigorifero, la luce taglia il palco, accecante. Al suo interno stipati, quasi ad esplodere, la vitalità di tutti i prodotti acquistati, molti inutili, alcuni scaduti, altri nascosti dietro ad altri, troppi, quasi ingombranti come i pensieri della protagonista che cerca, di notte, sollievo in qualcosa da mangiare.
La luce è come un alieno che si introduce nella stanza, è la depressione nascosta tra i mille prodotti e dall’apparente cura che Concita ha del suo corpo vestito con una bellissima camicia da notte trasparente e dalla scelta selezione dei cibi che vuole mangiare per stare meglio.
Appare Alice, la figlia, che necessita di attenzioni da parte della madre, le vuole, le pretende, seduta sul pavimento con un cappotto indosso stimola la madre in un dialogo incalzante a cui Concita risponde con brevi frasi scocciata. “Vedi che c’ho da fare?” e ancora “Sono fuori orario madre”. L’una pretende attenzioni infantili, l’altra nel suo mondo, non vuole concederle. Il rapporto madre-figlia è sottolineato da un sottile conflitto che si esaspera nell’altro rapporto madre-figlia tra Concita e Lucia che fa il suo ingresso in scena con un mazzo di bambù.
La depressione di Concita prende così più corpo nel II Atto “Certe domeniche in pigiama”. Lucia la madre e nonna stimola le due ad uscire, reagire, per poi diventare un fedele alleato di Concita nel III Atto “Il silenzio dell’analista” in cui Alice interpreta la psicologa, che, stanca dei silenzi della protagonista, è visibilmente smaniosa.
Tutta la pièce si svolge con ironia, allegria, battute che sdrammatizzano le situazioni in cui tutte ci possiamo trovare, i rapporti coi figli, con le nostre madri, la nostra genitorialità e poi con noi stesse, affannate a sopravvivere alla vita oppure arrese chiudendosi in casa, un posto sicuro senza bisogno di abiti, acconciature, trucco, maschere per nascondere ciò che proviamo con un sorriso. Oltre alla difficoltà di chi sta intorno a chi è depresso nell’affrontare impreparato la vita a fianco a chi non è più capace di viverla.
Un testo importante la cui bellezza risiede nella leggerezza delle parole intrise di battute, momenti quasi comici, gesti e parole allegri per raccontare nel migliore dei modi l’ombra della depressione e, soprattutto verso un lieto fine.
Le tre attrici intersecano le loro vite, scambiandosi i ruoli, con una scenografia assente, pochi oggetti di scena reali e funzionanti, un frigorifero, una lavatrice e un lavandino, oggetti del quotidiano simboli di un ponte verso il baratro della depressione. Affiatate non lasciano cadere una battuta e coinvolgono lo spettatore in una danza generazionale.
Le scene e costumi sono di Lucia Calamaro, l’aiuto regia è Jacopo Panizza, assistente scene Laura Giannisi, disegno luci Lucia Calamaro con una produzione Teatro di Roma – Teatro Nazionale.
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