Lo scorso anno molti di noi si sono divertiti e appassionati nel vedere Strappare lungo i bordi, prima serie animata Netflix, ideata e realizzata da Zerocalcare
Una serie che ha commosso per la delicatezza con cui affronta temi complessi, fra cui quello del suicidio, che conclude la storia, lasciando nello spettatore un senso di malinconia e amarezza per una vicenda di fronte alla quale non si sa mai come reagire.
Oltre le perle di saggezza e di pura goliardia dell’armadillo-Mastrandrea, dopo il viaggio in treno (probabilmente il momento più alto dell’intera serie), nel quale l’ambiente assume le caratteristiche del vissuto emozionale del protagonista, l’autore decide di raccontare una vicenda personale traumatica, la perdita di un’amica per suicidio.
La serie ha ricevuto diverse critiche, tutte incentrate sulla ripetitività dello stile e dei temi post-adolescenziali affrontati da Zerocalcare. A me ha colpito, tuttavia, il modo in cui ha deciso di raccontare la morte.
Zerocalcare non si spinge oltre ciò che è in grado di raccontare in prima persona: la paranoia di essere stato concausa della morte dell’amica, oppure il discorso finale dei genitori della ragazza che invitano a ricordarla per ciò che è stata in vita, più che per il gesto estremo.
In mezzo un enorme vuoto, una personalità opaca, i cui pochi segnali tracciati dall’autore non permettono allo spettatore di comprendere come si sia arrivati al suicidio.
In questo senso, Zerocalcare, certamente anche per pudore personale, si inserisce in una lunga tradizione narrativa legata al suicidio.
Basta prendere un qualsiasi articolo online che racconti la storia di una persona che si è tolta la vita, per incappare nell’espressione “gesto inspiegabile”. Il suicidio è un tabù che spesso è raccontato come atto senza motivo, soprattutto quando riguarda le fasce più giovani. Quell’assenza di spiegazione sembra più rispondere allo sgomento di una cultura che non tollera la perdita di chi si è appena affacciato alla vita. E’ talmente inaccettabile che le cause devono essere profondissime, chiuse nelle motivazioni ormai inaccessibili di chi ha compiuto il gesto, sepolte nella storia individuale che non è più dichiarata e dunque interrogabile.
Dietro questo fenomeno c’è un approccio alla salute mentale che individualizza il comportamento, privandolo del legame con i vissuti condivisi socialmente, con il contesto e con il sistema di relazioni di cui la vittima era parte integrante.
Nel Novembre del 2021, l’OMS ha pubblicato una scheda informativa sulla salute mentale degli adolescenti, sottolineando che un adolescente su sette soffre di un disturbo mentale, che i disturbi più diffusi in questa fascia di età sono depressione, ansia e disturbi comportamentali, che il suicidio è una delle principali cause di morte nei giovani fra i 15 ed i 19 anni e che i problemi di salute mentale in adolescenza hanno gravi ricadute sulla qualità della vita degli individui una volta divenuti adulti.
Un rapporto dell’Unicef del 2021 aggiunge a questi dati noti l’esacerbazione della condizione giovanile a causa dei disagi creati dalla pandemia.
Nel mondo, più di 1,6 miliardi di bambini e adolescenti hanno perso parte della loro istruzione negli ultimi due anni, ma soprattutto le fondamentali occasioni di socializzazione che quell’età richiederebbe per una crescita sana.
Oltre a ciò, l’Unicef, prendendo spunti da un’analisi della London School of Economics, sottolinea come il mancato intervento nei confronti della salute mentale dei più giovani, portando a disabilità e morte, comporta una perdita in termini economici di circa 390 miliardi di dollari annui nel mondo.
La stessa Organizzazione Mondiale della Sanità riconosce come, nonostante la marcata incidenza, la gran parte delle problematiche di salute mentale presenti in adolescenza, restano non riconosciute e non trattate. Un ruolo essenziale lo giocano i contesti primari: l’ambiente protettivo e supportivo della famiglia, la scuola, ma anche la comunità più in generale.
Il suicidio o la disabilità causate dai disturbi mentali sono solo le punte dell’iceberg di un problema molto più radicato e che coinvolge non solo i bambini e gli adolescenti, ma anche i familiari di chi vive una condizione di disagio.
L’attenzione al benessere psicologico dei più giovani non è una condizione che dovrebbe emergere esclusivamente di fronte ad eventi traumatici come il suicidio, ma influenza direttamente la vita degli adolescenti nel quotidiano.
La salute mentale non è un gioco da ragazzi. Richiede da una parte la diffusione di una cultura che sappia riconoscere sin dalle prime fasi i segnali del disagio, per attuare interventi di prevenzione già entro il contesto familiare; dall’altra infrastrutture ed interventi di supporto da parte del sistema pubblico.
In questa direzione si sta muovendo la Regione Lazio, che ha recentemente avviato il progetto AiutaMente, che prevede diverse misure di intervento per la popolazione di giovani compresa fra i 6 ed i 21 anni, finanziando integralmente, fra le altre, un percorso di 20 incontri con uno psicologo (adesso attivo anche per gli adulti).
Un progetto che permetterà a moltissimi giovani e giovanissimi di ricevere supporto psicologico gratuito, ma che lancia un segnale anche ai contesti che essi vivono, le famiglie in primis, che potranno uscire da quella condizione di solitudine nella gestione del disagio mentale dei propri figli che ha sin troppo caratterizzato gli ultimi decenni.
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Comunicato stampa